Il significato generale di peccato indica un’ azione o un comportamento che viola una legge morale o divina: Questo concetto si colloca in ambito religioso e nella sfera del sacro, in relazione ai concetti di colpa, norma e ordine.
In ambito religioso si considera come peccato la violazione di uno qualsiasi dei comandamenti divini e si insegna che il peccato è un atto e non uno stato dell’essere; inoltre si reputa che tutti gli esseri umani abbiano il libero arbitrio e possano scegliere il tipo di vita che desiderano condurre. Esiste quindi, sempre una “via di ritorno”, se la persona lo desidera profondamente. Le persone hanno la possibilità e abilità di controllare questa inclinazione al peccato e di scegliere il bene invece del male, attraverso un atto di coscienza. La concezione di peccato è pertanto associato all’azione di un atto impuro e quindi a una colpa commessa a cui occorre porre rimedio.
In un ambito spirituale ma non religioso, il significato di peccato può essere considerato con una valenza differente. Infatti, nella sua vita evolutiva terrena, l’essere umano vive l’aspetto duale che gli consente di fare delle esperienze attraverso cui impara la conoscenza del bene e del male, ossia degli opposti che gli consentono di accrescere la propria consapevolezza e quindi di crescere spiritualmente. Ogni esperienza, pertanto, serve come pietra di paragone per comprendere il significato delle scelte da fare per poter avvicinarsi sempre più, alla propria espressione divina e di connessione con Dio che lo portar a vivere in armonia e amore con se stesso e con il Tutto.
In questo ambito evolutivo, tutte le scelte e quindi le esperienze che vengono fatte sono comunque giuste e perfette perché necessarie per la propria evoluzione. Infatti, l’essere umano solo attraverso l’esperienza duale può comprendere il vero significato della scelta stessa. Nel caso in cui egli possa fare una azione “malevola”, ossia lontana dalla propria espressione divina a cui deve sempre tendere e ricercare, dovrà vivere un’azione riparatrice che avviene attraverso la Legge del Karma. Questa azione permetterà di compensare l’azione svolta, comprendendone il significato nella sua pienezza e riportando così l’anima a conoscere la valenza del significato appreso, attraverso quella esperienza.
Questa visione ci riporta a una accezione di peccato più ampia e leggera che permette di togliere un carico energetico molto greve, aprendoci verso l’energia della Misericordia che consente di trasmutare i sensi di colpa e le condanne interiori, mostrando più indulgenza verso se stessi e le limitazioni umane. Questo consente all’essere umano di aprire il proprio cuore e di ricercare il perdono per poi avere così anche la forza di porre eventuale rimedio, attraverso nuove azioni e di ricercare l’Amore Misericordioso di Dio per ritornare in purezza alla sua vera Espressione Divina interiore.
In sintesi il peccato iniziale è proprio l’allontanamento che l’essere umano fa dalla sua parte Divina Interiore, nel momento in cui si allontana da Dio e pertanto vive delle esperienze disarmoniche di separazione. Come in ambito ebraico, Rabbi Bunam disse ai suoi chassidim: “La grande trasgressione dell’uomo non sono i peccati che commette – la tentazione è forte e la sua volontà debole! La grande trasgressione dell’uomo è che in qualsiasi momento potrebbe rivolgersi a Dio – ma non lo fa”.
Riflettendo sul significato dei dieci comandamenti espressi da Dio e comunicati al popolo eletto tramite Mosè, possiamo ben comprendere come questi allora, siano state delle regole necessarie per guidare, insegnare ed educare un popolo uscito dalla schiavitù a ritrovare la consapevolezza di Dio e aiutarlo ad organizzarsi per iniziare un percorso di Ritorno a Dio.
Ciò che è stato fornito tramite queste Leggi, sono state le basi dell’ordinamento di questo popolo e poi trasmesse a tutti. L’interpretazione e l’esecuzione delle Leggi sono state così un chiaro supporto nel fondamento della tradizione ebraica e non solo.
Oltre ai chiari e validi dettami che queste Leggi esprimono, è possibile coglierne un significato ulteriore che non poteva essere colto allora. Le stesse Leggi possono così acquisire un significato più ampio, rispetto a quello letterale che è stato appreso in passato.
Per questo motivo proponiamo qua una lettura dei dieci comandanti secondo la concezione antroposofica, ossia la “scienza spirituale” fondata da Rudolf Steiner. Questo scritto può essere così un valido esempio per cogliere ulteriori significati e insegnamenti.
Teresa Columbano
Tratto dal sito: www.riflessioni.it
“Rielaborazione di idee antroposofiche a cura di Tiziano Bellucci, dal testo di R. Steiner “Risposte ad enigmi della vita”, 4° conferenza, O.O. 108
I dieci comandamenti
La maggior parte dei teologi ritiene che i dieci comandamenti costituiscono una composizione di leggi che si rintracciano in antichi popoli come Licurgo di Sparta o il codice di Hammurabi. Ma non è così.
Colui che ricevette queste indicazioni fu Mosè: un profeta ebreo che consegui un iniziazione presso i sacerdoti egizi. A quei tempi il popolo che presiedeva alla costruzione di una piramide veniva condizionato da un potere magico di suggestione. L’io dell’uomo non era forte: era possibile influire direttamente sulle anime umane rendendole schiavi servili. Le masse venivano guidate dai sacerdoti: come arti di un corpo unitario.
Mosè ebbe il compito di introdurre, preparare il popolo a trovare il proprio io, a farlo emergere dalla coscienza di gruppo: condusse l’uomo a fare ravvisare in sé l’archetipo del proprio io, connesso come goccia, all’io dell’universo (Dio, oceano). Si doveva prima presentare l’esistenza di un Dio esterno, di un legislatore divino universale: l’io cosmico, rappresentato nella figura di Javhè. Diceva Mosè: “Esiste un grande “Io” che è Dio, il quale è tutti noi”. L’uomo doveva sentire l’esistenza della luce dello spirito, del quale ne è parte come raggio. Mosè introdusse l’umanità a questa conoscenza, la quale dove portare all’incontro con il proprio io individuale. Processo che trovò il suo compimento secoli più tardi quando l’Io cosmico (Cristo) scese sulla terra e risvegliò questa consapevolezza tramite il gesto del Golghota. Si doveva introdurre che nel singolo uomo vi è operante un Principio divino, l’archetipo dell’io individuale: riconoscere la presenza di Dio prima fuori, condurrà all’incontro con il proprio io interiore.
I dieci comandamenti secondo il Catechismo cattolico dal Catechismo di S. Pio X:
Io sono il Signore Dio tuo: Non avrai altro Dio fuori di me.
Non nominare il nome di Dio invano.
Ricordati di santificare le feste.
Onora il padre e la madre.
Non uccidere.
Non commettere atti impuri.
Non rubare.
Non dire falsa testimonianza.
Non desiderare la donna d’altri.
Non desiderare la roba d’altri.
Qui i dieci comandamenti SECONDO LA SACRA BIBBIA, la Parola di Dio. (Esodo 20:1-14 e Deuteronomio 5:6-21)
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“Io sono il Signore, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avere altri dèi oltre a me.”
Col 1° comandamento Dio (l’io cosmico) si presenta ad Israele come donatore di libertà, per affermare che solo colui che si sottomette dapprima ad una disciplina (la Legge) può arrivare a diventare libero, a poter conseguire una libertà. L’uomo non nasce libero, ma si libera imparando a dominare la sua natura inferiore. La possibilità di assurgere ad un auto esperienza del divino doveva essere data dapprima in forma di Leggi esteriori. L’io del cosmo (Dio) se accolto dentro di sé, conferiva una auto liberazione dalla schiavitù infusa dagli istinti, dalle passioni che imperano nell’anima. L’Egitto è il mondo del desiderio, del potere, l’ambizione. E’ un primo approccio al ritrovamento del potere archetipico divino entro all’uomo. Javhè dice: “Dentro di te non vi devono essere altri comandanti se non il Dio che vive in te: il tuo io, che troverai tramite l’esercizio della mia Legge”.
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“Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi.”
L’uomo non doveva farsi un immagine oggettiva di Dio, da lui separata. Ogni figurazione esteriore del divino, l’io, doveva scomparire da fuori, per venir trovato dentro l’uomo, perché esso abita nell’uomo. Un idolo esteriore era un immagine errata della realtà dell’io: che è invece sempre un Dio interiore. Viene fatto un appello a condurre l’uomo verso la ricerca di Dio dentro di sé, che non poteva essere esterno. Dicendo “io sono un Dio geloso” Steiner dice che il reale significato della frase è da intendere: “Non cercare mai di arrivare alla rappresentazione di me in modo sbagliato. Altrimenti io produrrò danno in te. “L’io, (io sono) è un principio che opera costantemente in ogni uomo, entro e attraverso il sangue. E si esprime entro la linea ereditaria, di padre in figlio. Se tu ti fai un immagine sbagliata di ciò che io sono, i tuoi pensieri sbagliati reagiranno con il mio potere contenuto nel tuo sangue ed essi produrranno malattia nel tuo corpo e in quelli dei tuoi figlie e successori. (Questo comandamento è stato cancellato dalla chiesa cattolica – forse perché di immagini idolatre ne ha fatto invece diffuso uso – , la quale ha raddoppiato il decimo, sdoppiandolo in “non desiderare la donna d’altri e non rubare la donna d’altri ”)
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“Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lasceràimpunito chi pronuncia il suo nome invano.”
Qui si ribadisce: “non devi usare impropriamente la parola “io”, indicando te stesso. Sino a che non arriverai all’esperienza (iniziatica) che l’io e Dio in te coincidono, sappi che non puoi dirti “io”. Tu dici solitamente io al tuo corpo, alle tue passioni, ai tuoi ricordi, ma non dici mai “io” alla tua verà entità divina, che è oltre tutto questo. Dicendo io a te stesso bestemmi, perché “io” è solo colui che è della stessa natura di Dio. E per come nasci, non sei ancora un “io”. Arrivi a riconoscerti come “io”, quando operi una disciplina di liberazione dai tuoi supporti inferiori.
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“Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro;ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro.”
Così come nel cosmo esiste un ritmo di 7 grandi Ere in cui l’evoluzione si deve svolgere, doveva esservi in piccolo di 7 giorni nella vita dell’uomo. La scienza spirituale indica le 7 Ere con i nome dei pianeti: Era di Saturno, Sole (domenica), Luna, Marte/Mercurio (terra), Giove, Venere e Vulcano. La stessa cosa, come in alto, così in basso venne a riflettersi nel ritmo dei giorni della settimana. Nel settimo giorno l’uomo doveva dedicarsi alla ricerca di Dio in se stesso: “il tuo sguardo ricercherà Me in te”.
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”Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dá il Signore, tuo Dio”.
Si potrebbe dire: “Continua ad agire secondo tua madre e tuo padre, perché vi deve essere nel cosmo sempre un principio evolutivo che elabora il vecchio per produrre il nuovo. Devi sempre partire dalle radici per innalzarti: e quindi non puoi rinnegarle, né contrastarle. Deve essere conservato ciò che mediante l’io si è costruito nelle generazioni che ti hanno preceduto. Devi conservare le tradizioni, per trasformarle secondo la tua individualità, portarle a completa espressione.
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“Non uccidere.”
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“Non commettere adulterio.”
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“Non rubare.”
Il sesto, il settimo e l’ottavo comandamento sono un unico Comandamento suddiviso in tre: “ama il prossimo tuo come te stesso” ossia: “Vedi nel tuo prossimo un io come lo vedi di te stesso. Non fare ad altri ciò che non vorresti fosse fatto a te. Mentre nei comandamenti dal 1°al 5° ci si appella a preservare il proprio io, qui si indica il rispetto e la preservazione dell’io dell’altro.
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“Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo.”
Non sminuire il valore del tuo prossimo, non riconoscendolo per ciò che è. Chi dice il falso su un altro io, non riconosce che l’io dell’altro è uguale al proprio io, essendo i reciproci io, della stessa natura del divino.
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“Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo”.