Riti e tradizioni spesso ci aiutano ad elaborare la perdita di una persona cara. Cosa succede, però, se non siamo in grado di rielaborare il lutto?
Non tutti riescono ad accettare la perdita di una persona cara. In questi casi, è consigliabile intraprendere un percorso di psicoterapia.
In molte zone del mondo, fra fine ottobre e inizio novembre, si svolgono diverse celebrazioni in cui si ricordano i defunti. In Italia questa festività coincide con il 2 novembre. Esistono molte tradizioni e festività, a livello nazionale e internazionale, che commemorano i defunti o che, in qualche modo, cercano di esorcizzare la morte. Non sono poche le regioni italiane che, fra la notte dell’1 e 2 novembre, lasciano candele accese, preparano dolci o dedicano la giornata per andare al cimitero. Fra le festività più conosciute a livello internazionale troviamo senza dubbio Halloween che, attraverso costumi, zucche terrificanti e sfilate, aiuta ad esorcizzare le proprie paure e ad avere un contatto “soft” con la morte. Altrettanto partecipata è la cosiddetta festa del “Día de Muertos” (giorno dei defunti) che si svolge in Messico e in cui si allestiscono altari, si offre cibo ai defunti e ci si traveste da scheletri.
Esorcizzare la morte è possibile?
Sia le feste che i riti legati alla morte sono tutte tradizioni che servono per esorcizzare la morte, per ricordare i defunti e per metabolizzare la morte di una persona cara che ormai non c’è più. Tutti questi riti servono in qualche modo per decifrare la morte. Possono variare da paese a paese, esistono da sempre e sono presenti in ogni cultura. Ogni popolo, infatti, cerca di rielaborare il lutto e di superare pian piano la perdita del defunto. Spesso, però, nella cultura moderna, questo legame fra vita e morte, fra vivi e defunti, diventa sempre più labile, rendendo sempre più private le manifestazione legate alla morte.
L’elaborazione del lutto
Nonostante riti e festività, non sempre è facile per tutti riuscire a rielaborare correttamente un lutto. Alcune persone, infatti, non riescono a superare le varie fasi che compongono questo percorso e restano bloccate senza riuscire ad accettare l’accaduto. È necessario, infatti, vivere tutte le sensazioni legate alla perdita di una persona cara (ad esempio negazione, disperazione, tristezza). Spesso le emozioni arrivano a diventare così intense che si tende a farle “sparire” senza però averle prima rielaborate. Se non si interviene in tempo, il lutto può diventare cronico e causare tutta una serie di altri problemi a livello psicologico e, in alcuni casi, anche fisico che non possono dissolversi da soli.
Spesso, questo “congelamento” dell’elaborazione è dovuto a particolari circostanze del lutto, ad esempio legate alla gravità della perdita o alla mancanza di sostegno da parte di famiglia e amici. Per risolvere un lutto diventato ormai cronico è necessario rivolgersi a uno specialista che possa aiutare il soggetto ad accettare l’accaduto in quanto evento non modificabile. Solamente in questo modo sarà possibile pian piano riorganizzare la propria vita e portare a termine l’elaborazione, chiudere questo capitolo e aprirne uno nuovo.
“Quando sono particolarmente nervoso io chiamo uno dei miei assistenti e gli chiedo cosa faremo nei tre giorni successivi.
Lui me lo dice e io mi sento meglio.
Allo stesso modo, più o meno, noi buddisti ci rapportiamo alla morte.
La rendiamo un territorio familiare, ed essa diviene meno spaventosa”.
(Dalai Lama)
Non si può affrontare il tema dell’elaborazione del lutto senza introdurre il tema della morte, ove le modalità soggettive per fronteggiare una perdita sono strettamente correlate alla personale concezione della morte, oltre che alla struttura di personalità e alle influenze ambientali. Il rapporto dell’uomo con la morte è sempre stato complesso ed emarginato a livello di studi almeno fino al 1985, quando Philippe Ariès pubblicò “L’uomo e la morte dal Medioevo ad oggi”; da allora si è verificato un incremento degli studi e una ribalta della tanatologia che è appunto la disciplina che studia la morte; più precisamente la tanatologia è divenuta lo studio del “concetto” di morte dopo che era stata limitata per lungo tempo all’osservazione ed alla descrizione della “tanotomorfosi” (ossia della trasformazione che subisce il corpo dopo la morte) ed alla descrizione di pratiche funerarie e sul cadavere (“tantoprassi”), come dissezione anatomica e imbalsamazione della salma.
Il lavoro con i malati terminali ha permesso un ulteriore incremento delle ricerche sull’atteggiamento dell’uomo nei confronti della morte e oggi, con lo sviluppo della ricerca psiconcologica, si assiste ad una minore emarginazione degli aspetti inerenti alla morte. In questo ambito si sviluppa il lavoro sul lutto e sulla sua elaborazione che, secondo Campione, consiste nel contrapporre al “deserto” del lutto, la “speranza” di una ricostruzione per rivestire di senso la relazione avuta con la persona defunta e ripartire con nuove relazioni.
La parola “lutto” si riferisce a tutte le manifestazioni esteriori e quindi a tutti gli atti rituali che accompagnano la morte di una persona. Diverso è il “cordoglio” che invece riguarda le intime reazioni emotive alla perdita. Quindi il lutto è tutto ciò che ruota intorno alla perdita, ciò che è visibile, ciò che è rituale. I riti fungono da contenitore delle angosce e aiutano nel percorso di elaborazione, come sottolinea Ernesto De Martino nel suo saggio “Morte e pianto rituale nel mondo antico” parlando di quella “stereotipia del cordoglio” di quell’“autoincantarsi” con il lamento, il canto ed il pianto rituali. I riti, dunque, come primo “aiuto” nel percorso di elaborazione che continua nell’intimità di ciascuno con tempi e modalità differenti.
Il tempo del lutto è stato “calcolato” in maniera differente da numerosi studiosi, ma il tempo del lutto cosa è? Cosa significa? La risposta si potrebbe mutuarla da Freud che in “Lutto e Malinconia” parla del tempo del lutto come “quel tempo in cui l’individuo trasforma l’assenza esterna dell’oggetto in presenza interna”. Generalmente, il percorso del lutto copre un tempo che statisticamente va dai 6 ai 24 mesi; chiaramente su questi tempi incidono sia variabili individuali che sociali e culturali oltre al contesto e alle modalità in cui si è verificata la morte. Di conseguenza, i tempi non sono rigidi.
Dopo una perdita possono presentarsi sintomi a livello cognitivo, emozionale, comportamentale, somatico e relazionale.
A livello cognitivo: difficoltà di concentrazione, lievi stati confusionali, disorientamento, illusioni sensoriali, idee suicidarie transitorie, pensieri ricorrenti relativi al proprio caro e alle circostanze della sua morte.
A livello emozionale: paura, rabbia, solitudine, tristezza, disperazione, stordimento.
A livello comportamentale: pianto, disturbi del sonno, diminuzione delle attività quotidiane, isolamento, disturbi del comportamento alimentare, dipendenza dagli altri.
A livello somatico: diminuzione dell’energia, dolori muscolari, sintomi somatici d’ansia (tachicardia, vertigini, cefalea, ecc.), alterazioni dell’attività neuroendocrina e immunitaria;
A livello relazionale: coinvolto a seguito di tutte le manifestazioni elencate, in quanto l’individuo si muove in un contesto sociale che è composto dalla famiglia, dai colleghi, dagli amici e anche in base alle risposte degli altri ai sintomi si profilerà l’intero percorso del lutto.
Gli autori che principalmente si sono occupati dello studio del “processo” del lutto sono E. Kubler-Ross, C.M. Parkes e J.W. Worden. Elisabeth Kubler-Ross, psichiatra svizzera, dopo il suo trasferimento negli Stati Uniti ha maturato una profonda conoscenza della malattia terminale lavorando presso il Billings Hospital di Chicago. L’appassionato e continuativo lavoro a contatto quotidiano con la morte, le ha permesso di teorizzare l’evoluzione del processo del lutto in un modello conosciuto in tutto il mondo. Molto note sono le “Fasi” del lutto enunciate dalla Kubler-Ross ed esemplificate nello schema seguente:
NEGAZIONE |
Shock e stordimento per la morte, ricerca nel proprio ambiente di rumori o presenze del proprio caro |
PATTEGGIAMENTO |
Speranza nel ritorno del proprio caro, fare promesse affinché questo possa accadere |
RABBIA |
Frustrazione, rabbia verso il destino, il mondo, gli altri |
DEPRESSIONE |
Profonda tristezza e dolore per la realtà e l’irrimediabilità della morte |
ACCETTAZIONE |
Riorganizzazione e ritorno alla vita conservando i ricordi, senza che questo determini un dolore insopportabile |
Le fasi, generalmente, si presentano nell’ordine descritto ma possono anche seguire un ordine differente, alternarsi, sovrapporsi e ripetersi nel corso del tempo; questo perché la risposta emotiva agli eventi negli esseri umani non ha sempre un decorso preordinato. Colin Murray Parkes, psichiatra inglese, si è principalmente occupato del lavoro sul lutto. Dal 1966 ha lavorato presso l’Hospice del St. Christopher dove ha creato il primo servizio dedicato all’elaborazione del lutto. Anche Parkes ha evidenziato un percorso in fasi di elaborazione:
STORDIMENTO |
Shock, negazione, sentimenti di irrealtà, che durano ore o giorni |
RICERCA |
Intensa ricerca del congiunto, pianto, ansia da separazione, rabbia e irritabilità, auto-accuse, perdita di autostima e del senso di sicurezza |
DISORGANIZZAZIONE E DISPERAZIONE |
Apatia, disperazione, isolamento e ritiro dalla vita sociale, senso di mutilazione |
RIORGANIZZAZIONE E GUARIGION |
Graduale ritorno alla vita, ricomparsa di interessi e del desiderio di pianificare il proprio futuro |
J. William Worden psicologo presso il Massachusetts General Hospital, ha concentrato le sue ricerche sul suicidio, la cura dei malati terminali, la psiconcologia e il lutto. Worden pone in evidenza quelli che ritiene essere gli obiettivi del lavoro sul lutto:
ACCETTAZIONE DELLA REALTA’ DELLA PERDITA |
Confrontarsi con la realtà della perdita e superare la normale tendenza a negare l’evento della morte |
ELABORAZIONE DEL DOLORE DEL LUTTO |
Sperimentare il dolore e i sentimenti di depressione, isolamento, vuoto legati alla perdita del proprio caro |
ADATTAMENTO AD UNA REALTA’ NELLA QUALE IL PROPRIO CONGIUNTO NON C’E’ PIU’ |
Sviluppare nuove capacità per adattarsi ai nuovi ruoli, al nuovo senso di sé e del mondo |
DARE UN NUOVO SPAZIO AL PROPRIO CARO E PROSEGUIRE NEL PROPRIO PERCORSO DI VITA |
Trovare un luogo nella propria vita interiore dove il proprio caro è presente, pensarlo con un senso di tristezza ma non più con sentimenti di disperazione intollerabili |